Quale il ruolo degli intellettuali in Sardegna dopo Sergio Atzeni?

Abbiamo oggi in Sardegna intellettuali che sappiano esprimere con punti di vista alternativi e con la forza dell’uso sapiente delle parole, nuove idee che siano pungolo per il potere, come fu Sergio Atzeni?

I social banalizzano, e in molti casi strillano, anche se hanno avuto il merito di creare un dibattito mediatico un tempo precluso alle persone, che interagendo e influenzandosi creano nuove coscienze, allargando la responsabilità critica su una base più ampia, in maniera diffusa: siamo tutti un po’ broadcaster.

Quando scriveva Sergio Atzeni, lo spazio principale degli intellettuali per il ragionamento era il giornale, forse più della TV da avanspettacolo. Ma si sa, i giornali appartengono ad editori interessati e coinvolti nei giochi di potere.

E il potere non cede poteri.
Nella storia lo ha fatto solo perché costretto, con rivoluzioni o motti, mai volontariamente.
È possibile influenzarlo dall’esterno? Scriveva Sergio Atzeni:

“Se anche tutti i migliori parlassero con parole precise e con accenti di verità, non credete che le loro voci finirebbero soltanto per acuire il chiacchiericcio universale e vano che quotidianamente ci perseguita dai giornali, dalla radio e soprattutto dalla televisione? La voce dell’intellettuale, come quella del pastore ch’è la mia, prive di un tessuto connettivo che le faccia coro capace di assordare i potenti e sturare le orecchie di ingordigia e insensibili, son lamenti nel deserto, contano nulla, fatica al vento.”

(“Davanti al cadavere di una cultura”, Sergio Atzeni, La voglia di scrivere, La biblioteca dell’identità de L’Unione Sarda, pag. 226)

Il “tessuto connettivo” per Sergio Atzeni, è fondamentale per far si che alcune idee diventino senso comune, recepito dalla gente e infine dalla politica.
Oggi il tessuto connettivo è Internet e i social network, in cui si incrociano e si impastano molte idee che vengono riprese poi dai quotidiani? Il chiacchiericcio universale si è amplificato in maniera assordante, voci che scorrono alla velocità di un pollice che scrolla l’infinity page.

Il mondo intellettuale dovrebbe operare su tutti i fronti: artistici, filosofici, accademici, sociali.

Non ci resta che trovare consolazione rileggendo un altro (discutibile) articolo di Atzeni, “Per una nuova balentia”: non si può non notare che qualcosa si è mosso anche in Sardegna, quando parla dei mali endemici ed eterni dell’isola. Almeno due di quelli cui accenna Sergio Atzeni sono risolti: il banditismo, che non esiste più in quelle forme, e la siccità che non lascia più a secco le famiglie sarde.

Ecco un estratto del testo:

“Continueremo a fare finta di nulla. Ogni anno a aprile avremo qualcuno nelle mani dei banditi e una o più famiglie in attesa. Ad agosto fiamme nei pochi boschi rimasti. Da gennaio a Natale i ragazzi a vagare nel mondo con rabbia e voglia di tornare. Mai lavoro sulla nostra terra. I condotti dell’acqua perderanno, i bacini saranno insufficienti, regnerà la sete: anni di pioggia si alterneranno ad anni di siccità, ci si potrà lavare ogni giorno a ogni ora o soltanto il martedì alle tre. Con dibattito periodico sulla lingua e identità. Per quanti secoli ancora?” […] Riusciremo a cambiare? Cambiare come? Verso dove? Ridando vita all’antica balentia, magari. Ma disarmata. Intelligente. Balentia senza fucili. Ne saremo capaci?”

Sergio Atzeni, “Per una nuova balentia”

Per il resto siamo ancora qui ad interrogarci ed a parlare di aspetti quali lingua e soprattutto di identità (collettive e individuali, pensiamo ad esempio alle nuove questioni di genere) a dimostrare che la discussione non si è mai risolta, non è secondaria, ed è anzi è politicamente fondamentale. Ignorarla lascerà praterie alle visioni identitarie del colonizzatore, pronte a colmare i vuoti.

Immagine creata con l’intelligenza artificiale

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